Ombrikà
Fisovio Sancio e il meta-rito nelle tavole iguvine
Fausto Orioli

Le due grandi cerimonie urbiche che il testo iguvino riporta hanno una sola deità comune: Fisovio- Sankio- (in seguito Fisovio). Il fatto singolare della doppia presenza del dio in due cerimonie che, pur riconducibili a un unico momento storico, sono per finalità e struttura del tutto diverse, non può essere liquidato con la tesi di una generica identità con Fiso- Sankio- (in seguito Fiso), ma sollecita una spiegazione adeguata.
Al fine di fare chiarezza e di liberare il campo dalla confusione euristica che ha coinvolto Fisovio, il primo passo è dimostrarne la specificità cultuale e funzionale e, di conseguenza, l’autonomia da Fiso. La seconda parte di questo studio si pone l’obiettivo di inquadrare la figura di Fisovio all’interno della teologia iguvina.

Fisovio Sancio nel testo iguvino
Il nome Fisovio, in tutte le sue varianti, è menzionato tredici volte nelle tavole: fiiuvi, emendato in fisuvi (Ia 17), fisoui sansi(i) (VIb 5, VIIa 37) dat.sg.ms., fisouie (VIb 15) gen.sg.ms., fisoui sansi (VIb 6, 8, 8) acc.sg.ms., fisouie sansie (VIb 9, 10, 12, 12, 14, 15) voc.sg ms. L’errore di incisione fiiuvi di I a 17 è forse spiegabile con l’influenza della forma del dativo singolare iuvi (Ia 28) / ioui (VIb 22) ‘a giovio’ (la tav. I è incisa nell’alfabeto locale di derivazione etrusca, che non distingue i fonemi /o/ e /u/, entrambi espressi dal grafema u). Degno di nota il fatto, non raro nel testo iguvino, dell’omissione dell’attributo divino (Ia 17, VIb 15).
La deità appare in due contesti cerimoniali: nella Purificazione della Rocca Fisia e nella Circumambulazione dell’esercito (di seguito definiti rispettivamente piaculum e lustrum), che sarà forse utile richiamare sommariamente e senza pretesa di completezza.
La cerimonia di purificazione dell’okri- fisio-, che simboleggia sacralmente la comunità iguvina prevede, dopo l’augurazione, il sacrificio di tre vittime davanti e dietro ognuna delle tre porte sacre della città e due sacrifici extraurbani (forse in un momento calendariale successivo) presso due boschi sacri probabilmente situati sul monte Ingino e sul monte di Ansciano.
Davanti alle porte si sacrifica alla Triade Grabovia (Giove Grabovio, Marte Grabovio, Vofione Grabovio), dietro le stesse a Trebo Giovio, Fiso Sancio, Tefro Giovio. I due riti extraurbani sono dedicati a Marte Hořio e a Hondo Šerfio.
La porta Tessenaca, dietro la quale si svolge il sacrificio incruento a Fisovio, costituisce la seconda delle tre stazioni sacrificali. L’offerta è inserita nell’ambito del sacrificio cruento di tre sif feliuf / sif filiu (acc.pl), tre scrofe allattanti , destinate a Fiso Sancio. Secondo I a 16-19 (redazione breve della cerimonia), Fisovio riceve un’offerta di mefa- e vestiça-. In modo sintetico si prescrive di presentare focaccia e impasto, di sacrificarle a Fisovio a beneficio della Rocca Fisia, di usare due serie di scodelle, definite purtitaf sakref (acc.sg.), cioè da offerta e da consacrazione, a beneficio della Comunità Iguvina. Segue la prescrizione finale kutef pesnimu ařepes arves ‘preghi in silenzio sulle carni e sui prodotti della terra’, che regolarmente conclude ogni sacrificio, e che vale per entrambi gli atti sacrificali, quello cruento e quello incruento.
La redazione “lunga” dell’offerta (VIb 5-16) che, come è noto, riporta anche i testi delle preghiere, prescrive parimenti di offrire vestiça- e mefa-, in questo caso qualificata come spefa- ‘aspersa’, cioè condita e poi, nella preghiera, fisovina- ‘relativa a Fisovio’, in un recipiente chamato skalsi-, stando in ginocchio, a Fisovio Sancio, a beneficio della Rocca Fisia e della Comunità Iguvina. Seguono una preghiera di 28 parole da recitarsi impastando la vestiça- e, ancora, sulla farina rituale, e una di 115 parole da recitarsi, impastando e danzando ritualmente, sulla mefa- spefa-. Seguono prescrizioni che riguardano la distruzione rituale delle offerte, cruenta e incruenta, e l’uso delle stesse due serie di scodelle viste sopra, qui definite purdita e sacra. È importante sottolineare che il sacrificio a Fiso si svolge secondo la procedura della fossa, (VIb 3: persae fetu) modalità di offerta a deità ctonie, mentre per l’offerta a Fisovio si prescrive chiaramente di sbriciolare e spargere l’offerta sul fuoco (VIb 17: mefa uestisia sopa purome efurfatu subra spahmu), modalità di offerta a deità uranie. È pure interessante la menzione di due serie di recipienti da offerta e da consacrazione (VIb 17: capif purdita dupla aitu sacra dupla aitu), evidentemente per tenere separate le due offerte.
Il secondo contesto cerimoniale nel quale compare Fisovio prevede, dopo l’augurazione, la circumambulazione da parte di officiante, banditori e vittime, dell’esercito schierato fuori della città, nel campo di Acedonia. Segue una preghiera defissoria, tre sacrifici in tre luoghi denominati “Fontuli”, “Rubinia” e “Oltre la Sata” con relative preghiere, e un’appendice che prevede la liberazione di dodici giovenche e il successivo sacrificio a delle prime tre ad essere catturate.
Ai Fontuli si sacrifica a Šerfo Marzio, alla Rubinia a Prestota Šerfia di Šerfo Marzio, Oltre la Sata a Torsa Šerfia di Šerfo Marzio. Prestota e Torsa (difesa e offesa) sono tipici esempi di Sondergötter, quasi modalità divine attraverso le quali si esprime la potenza di Šerfo Marzio. Le tre giovenche sono sacrificate a Torsa Giovia.
A Prestota Šerfia di Šerfo Marzio (in seguito Prestota) si sacrifica nel momento centrale della cerimonia; la deità riceve la preghiera più lunga del lustrum, quella epi-apotropaica, finalizzata a stornare la minaccia secondo due procedure: inviandola verso i nemici “istituzionali” e allontanandola da Iguvium. A Torsa Šerfia di Šerfo Marzio, invece, si recita la semplice preghiera “non marcata” della porta Trebulana.
All’interno del sacrificio a Prestota viene inserita l’offerta incruenta a Fisovio. In questo caso, la sola redazione lunga (VIIa 37-38) dà testimonianza dell’offerta. Le indicazioni rituali sono qui espresse in modo sintetico: si prescrive, in modo analogo al corrispondente sacrificio dietro la porta Tessenaca, all’officiante di sacrificare, inginocchiato, la vestiça- (impasto) e la mefa- spefa- (focaccia condita), anche qui nello scalsi-, a Fisovio, a beneficio dell’esercito della Comunità Iguvina e della Comunità Iguvina; la preghiera prescritta (caso unico!) è quella della porta Tessenaca, cioè evidentemente la stessa preghiera recitata a Fisovio nel piaculum; si richiede infine di dare l’erus della vestiça e di sbriciolare sul fuoco l’offerta. Le prescrizioni relative all’offerta di vestiça- e mefa- spefa- a Fisovio sono sintetiche rispetto a quelle dell’altra cerimonia, ma questa non è una novità: le tavv. VI e VIIa formano un testo unico, all’interno del quale si evita di ripetere descrizioni analitiche; si vedano e.g. le parti dedicate all’augurazione.
Anche qui l’offerta a Fisovio è inserita nel contesto del sacrificio a un’altra deità: la distruzione rituale delle offerte a Prestota e a Fisovio avviene in stretta sequenza, anche se i due riti si svolgono rispettivamente con la procedura della fossa e spargendo sul fuoco. L’esplicita indicazione di sbriciolare sul fuoco (purome efurfatu) si rinviene due sole volte nelle tavole (VIb 17 e VIIa 38), cioè solo nei due casi di sacrificio supplementare di impasto e crescia condita a Fisovio, sempre seguita dalla formula subra spahmu. Ciò non significa che non fosse praticata in altri contesti sacrificali. Anzi, era probabilmente la procedura non marcata nei casi in cui si utilizzava il ferion-, una sorta di ara mobile caratteristica del sacrificio “uranio” tramite fuoco. Il fatto che a Fiso e a Prestota si offriva nella fossa rendeva però necessario rammentare, a scanso di errori, che subito dopo a Fisovio bisognava offrire sul fuoco.
Risulta perciò che all’interno delle due grandi cerimonie, e per di più nel momento centrale di esse , è inserito un sacrificio incruento di vestiça- e mefa spefa-, tanto importante da richiedere una preghiera ad hoc e l’indicazione di distruggere l’offerta sul fuoco. La deità destinataria del sacrificio, Fisovio, è la stessa (ed è un unicum: come detto non vi è nessun’altra deità a comparire in entrambe le cerimonie), ma le istituzioni beneficiarie della preghiera sono diverse, e coincidono con quelle rispettivamente dell’una e dell’altra cerimonia.
Finora è stata concessa a Fisovio autonomia linguistica, ma non teologica. Devoto (1962: 216-7) vede la forma Fisovio una mera variante formale di Fiso. Scrive infatti: “Nomen nonnullas difficultates praebet, cum tres sint formae servatae: … Fisovio passim in T. VI, semel in I”. Il fatto che Fisovio sia presente una volta nella tavola I e alcune volte nella tavola VI è, tra l’altro, esattamente quello che ci si aspetta, in quanto la redazione lunga riporta integralmente la preghiera, all’interno della quale è nominato più volte. Il Devoto (ibid.) nota poi giustamente che “Fisovio- adiectivi formam habet eoque potius cum attributis quam cum nominibus theophoris congruit”.
Dunque, il teonimo Fisovio si distingue formalmente da Fiso, essendo il primo un aggettivo, il secondo un nome. E perciò, continua Devoto, “duos deos invenimus, alterum fisu- appellatum uno attributo praeditum, alterum ab altero tractum, qui nomen et attributum in adiectivum utrumque mutavit, novum nomen tamen vel non assumpsit vel celat”.
È d’altra parte incontestabile che un Giove(padre) si cela dietro la doppia forma aggettivale: “Si pro Iuvepatre Saçi, Saçi tantum in T. II b invenitur, in T. VI licebit conicere formulam Fisovio- Saçio- pro Iupater Fisovio- Sacio- exstare (ibid.).
Ma, poiché il Giove iguvino è piuttosto una “zona divina” che una deità definita, rimane inalterata la necessità di definire le funzioni di questo supposto “(Giovepadre) Fisovio Sancio”.
Poultney (1959: 251-52, 307) distingue le due deità, nota delle differenze nella preghiera, ma conclude che la relazione tra Fiso e Fisovio non è chiara.
Il Radke (1956: 128-129) non prende posizione: alla voce Fisos si può leggere: “umbr. Gottheit auf den Iguvinische Tafeln, die auch unter der anderen Namensform Fisus oder erweitert als Fisovios erscheint”.
Il Prosdocimi (1989: 492-494) si pone il problema della doppia presenza di Fiso, che non distingue da Fisovio. La spiegazione che ne dà (Fisu/ovio divinità dello ius fetiale) è però debole, perché presuppone a Iguvium una presenza (tutta da provare!) dello ius fetiale e dà per scontato (solo perché la preghiera a Fisovio non ha la formula “piaculare”, ma solo quella “lustrale”), che Fiso sia la divinità dello ius fetiale. Per tutto questo vedi oltre.

Fisovio Sancio deità autonoma
Fisovio è, come visto, l’unica deità presente nelle due grandi cerimonie. Anche volendolo assimilare a Fiso, il dio sanzionatore del patto civico, con il quale è in relazione etimologica e rituale nel piaculum, resta di totale problematicità il suo rapporto con Prestota, con la quale è in relazione rituale nel lustrum. Prestota è deità del versante Marzio e, come tale, niente ha a che vedere con Giove, al quale si oppone rispondendo a una diversa matrice teologica.
Vi sono indubbi elementi che parlano in favore dell’autonomia di Fisovio: si tratta del nome, delle norme rituali e della preghiera.

Il teonimo
La differenza formale è di non poco peso; infatti, Fisovio è sì derivato da Fiso (*bhidh-to), ma tramite un morfema aggettivale -(o)uio-, sul modello di “Grabovio”. Ne consegue che il binomio divino fisovio- sankio- (da *sank-io) è formato, come aveva ben visto il Devoto, da due aggettivi (discostandosi in ciò dalla regola che prevede per i teonimi iguvini la formula nome + aggettivo), e perciò sottintende un altro termine, prababilmente un Giove(padre). Si potrebbe in alternativa formulare l’ipotesi di una sostantivazione dell’aggettivo.
Al contrario il binomio fiso- sankio-, composto da nome divino e aggettivo, rientra perfettamente nel paradigma della formula bimembre dei teonimi iguvini.
All’interno delle Tavole Iguvine vi è un solo altro esempio di aggettivo + aggettivo: vestiço- sankio- (IIa 4: vestiçe saçe, dat. sg.), che riceve un porcellino nel rituale riparatorio in IIa 1-14. Il secondo aggettivo divino “Sancio” è, guarda caso, lo stesso, e Vestiço è l’ipostasi dell’impasto sacrificale, la vestiçia appunto, che Fisovio riceve in offerta (vedi oltre).
Il nome nella teologia iguvina non è fattore secondario (basti pensare, per citare solo un esempio, alla formula dell’invocazione: ti invoco, … per … e per …, per il nome di questo/a, per il nome di quello/a). Dunque, se in VIb si nomina prima una volta Fiso e poi undici volte Fisovio, questo non può essere imputato al caso o alla sciatteria dell’incisore (al quale si può e.g. imputare la forma di dativo fiso in VIa, con evidente influsso latino, opposta a fise in Ia). È improbabile che tanta attenzione venga improvvisamente meno nel momento di citare Fisovio. Risulta perciò altamente probabile una distinzione linguistica tra i due termini.
Un altro elemento rilevante, quando non decisivo, è la definizione della mefa spefa (schiacciata condita) con l’aggettivo fisouina, un aggettivo in -ino- ricavato dalla sostantivazone dell’attributo fisovio-, a sua volta derivato da fiso-. Il conio di un aggettivo ad hoc è segno evidente che Fisovio era percepito come deità autonoma, dal momento che si aveva ben a disposizione l’attributo in -io- fisio- (attestato in varia forma oltre sessanta volte nel testo iguvino), derivato da fiso-.

Le norme rituali
Nel piaculum l’offerta a Fisovio, pur inserita all’interno del sacrificio a Fiso, presenta caratteristiche di autonomia evidenziate, oltre che dalle sopra viste diverse modalità di offerta (fossa/fuoco), dalla ripetizione delle istituzioni beneficiarie, già menzionate prima dell’offerta cruenta a Fiso, sia nella redazione breve che in quella estesa della cerimonia. In I a 16-19 si legge: mefa vestiça ustetu fisuvi fetu ukriper fisiu fetu … tutaper ikuvina ‘(l’officiante) presenti la mefa- e la vestiça-, (le) sacrifichi a Fisovio, (le) sacrifichi per la Rocca Fisia … per la Comunità Iguvina’; mentre in VI b 5-6: uestisia et mefa spefa …fetu fisoui sansi ocriper fisiu totaper iouina ‘(l’officiante) sacrifichi la vestiça e la mefa spefa … a Fisovio Sancio, per la Rocca Fisia, per la Comunità Iguvina’. I due testi concordano nello specificare le istituzioni beneficiarie del sacrificio incruento a Fisovio.
Fisovio, come si è visto, è presente anche nel lustrum. E, se nel sacrificio dietro la porta Tessenaca il sospetto di commistione con Fiso potrebbe, ad un’analisi superficiale, essere legittimato se non altro da ragioni etimologiche, qui il legame con Prestota Šerfia di Šerfo Marzio deve essere negato tout court (caso mai è Torsa, nel lustrum, ad assumere l’epiteto di “Giovia”).
A confermare che la deità è la stessa nelle due cerimonie vi sono le offerte, la prescrizione della stessa preghiera (‘si preghi come alla porta Tessenaca’) e la quasi identità delle prescrizioni rituali.
Cambiano invece le istituzioni, rispettivamente tota- / okri- e poplo- / tota-: le stesse che beneficiano di ciascuna cerimonia. Questa non è che un’ulteriore conferma della “adattabilità” di Fisovio a cerimonie di natura diversa e dunque della sostanziale estraneità allo scopo delle stesse. Le due cerimonie sono sì il frutto di un comune momento di ristrutturazione teologica, con caratteristiche strutturali comuni, ma svolgono funzioni diverse, e questo è confermato dal fatto che le deità, tranne Fisovio, sono diverse, come pure sono in parte diverse le istituzioni che beneficiano dei riti.
L’offerta di mefa- spefa- e di vestiça- è significativa. La prima, corrispondente etimologicamente al lat. mensa, è probabilmente una focaccia schiacciata. È offerta a Giove Grabovio, a Vofione Grabovio, a Šerfo Marzio, a Fisovio Sancio, a Giovepadre, a Pordoviente, sempre con modalità uranie di consumazione sul fuoco. È perciò offerta incompatibile sia con il sacrificio a Fiso che con quello a Prestota.
La seconda , un impasto sacrificale a base di strutto (cfr. il lat. depsticius ‘bene impastato’ in Cat, DeA.C. 74), è offerta a Giovepadre, a Fisovio Sancio, a Hondo Giovio, Tefro Giovio, Pordoviente, Holi e Torsa. Tutte, tranne le ultime due, deità legate a Giove.

La struttura della preghiera iguvina
La preghiera assume, nell’hic et nunc rituale, estrema importanza, se il termine tecnico che la designa (persklo-) ha assunto anche il valore di cerimonia. Si confronti, ad es., Ia 1: este persklum … enetu ‘questa cerimonia … (l’officiante) inizi.
La presenza di una preghiera elaborata appositamente per l’offerta incruenta a Fisovio non può essere considerata elemento di poco conto. Si tenga presente che per l’altro sacrificio incruento aggiuntivo, quello a Tefro Giovio dietro la porta Veia, è prescritta la preghiera “non marcata”, cioè quella della porta Trebulana.
Al fine di chiarire la peculiarità della preghiera della porta Tessenaca (prescritta per Fisovio), ritengo di una qualche utilità condurre un esame strutturale della preghiera iguvina, esaminando i testi in una sequenza che va dal semplice al complesso.
La prima preghiera qui presa in esame è la formula defissoria recitata a Torsa Giovia (sulla quale è ricalcata quella alla “triade” Marzia): va recitata per tre volte, dopo ogni giro intorno al poplo-.
Struttura: richiesta – riconciliazione (VIIa 47-51): tursa iouia totam tarsinatem trifo tarsinatem tuscom naharcom iapusco nome totar tarsinater trifor tarsinater tuscer naharcer iapuscer nomner nerf sihitu ansihitu iouie hostatu anostatu tursitu tremitu hondu holtu ninctu nepitu sunitu sauitu preplohotatu preuiślatu
tursa iouia futu fons pacer pase tua pople totar iouinar tote iouine erar nerus śihitir anśihitir iouies hostatir anhostatir erom nomne erar nomne
‘o Torsa Giovia, impaurisci e fa’ tremare, sconfiggi e distruggi, uccidi e annienta, ferisci e trafiggi, imprigiona e incatena la comunità tadinate, il territorio tadinate, l’etnia etrusca, naharca e iapodica, i guerrieri, armati e disarmati di spada, i giovani, armati e disarmati di lancia, della comunità tadinate, del territorio tadinate, dell’etnia etrusca, naharca e iapodica;
o Torsa Giovia, sii favorevole e propizia con il tuo assenso verso l’esercito della comunità iguvina e verso la comunità iguvina, verso i guerrieri armati e disarmati di spada, verso i giovani armati e disarmati di lancia, verso il nome di quello e verso il nome di questa’ . La riconciliazione segue di regola ogni richiesta, in base all’ideologia dell’ambivalenza del sacro, benefico e anche pericoloso. Chiedere equivale a rompere un equilibrio precario, con possibili conseguenze nefaste.
Stessa struttura ha la lustratio agri di Catone , De A.C., 141, ma l’ordine è invertito: riconciliazione – richiesta:
Mars pater, te precor quaesoque uti sies uolens propitius mihi domo familiaeque nostrae … uti tu morbos uisos inuisosque, uiduertatem uastitudinemque, calamitates intemperiasque prohibessis defendas auerruncesque; utique tu fruges frumenta, uineta uirgultaque grandire beneque evenire siris, pastores pecuaque salua seruassis duisque bonam salutem ualetudinemque mihi domo familiaeque nostrae…
Passiamo ora a una preghiera di maggiore complessità: si tratta della preghiera epitropaica recitata a Prestota sui vasi neri vuoti, che presenta identica struttura di quella apotropaica sui vasi bianchi vuoti e di quella indirizzata a Fisovio.
offerta, è un tipo di invocazione che, oltre a divinità destinatarie e istituzioni beneficiarie menziona che cosa si offre alla divinità (VIIa 9-11): prestota serfia serfer martier tiom esir uesclir adrir popluper totar iiouinar totaper iiouina erer nomneper erar nomneper ‘o Prestota Šerfia di Šerfo Marzio, (invoco) te con questi recipienti neri per l’esercito della città di Gubbio e per la città di Gubbio, per il nome di quello e per il nome di questa’
prima richiesta, risponde allo scopo di indirizzare verso (funzione epitropaica = ‘volgere verso’) le etnie nemiche e la città di Tadino la minaccia e il male che stranieri bellicosi potrebbero portare (VIIa 11-13): prestota serfia serfer martier preuendu uia ecla atero tote tarsinate trifo tarsinate tursce naharce iabusce nomne totar tarsinater trifor tarsinater tuscer naharcer iabuscer nomner nerus sitir ansihitir iouies hostatir anostatir ero nomne ‘o Prestota Šerfia di Šerfo Marzio, per una strada lontana invia lo straniero verso la comunità tadinate e il territorio tadinate, verso l’etnia etrusca, naharca e iapodica, verso i guerrieri, armati e disarmati di spada, i giovani, armati e disarmati di lancia, della comunità tadinate, del territorio tadinate, dell’etnia etrusca, naharca e iapodica e verso il nome di quelli.
riconciliazione, simile a quella rivolta a Torsa Giovia, tranne ovviamente che per il nome della divinità (VIIa 13-15): prestota serfia serfer martier futu fons pacer…
seconda richiesta, formula lustrale rigida (VIIa 15-17): prestota serfia serfer martier saluom seritu poplom totar iiouinar salua serituu totam iiouinam prestota sefia serfer martier saluo seritu popler totar iiouinar totar iiouinar nome nerf arsmo uiro pequo castruo frif salua seritu ‘o Prestota Šerfia di Šerfo Marzio, mantieni salvo l’esercito della comunità iguvina, mantieni salva la comunità iguvina. O Prestota Šerfia di Šerfo Marzio, mantieni salvo il nome dell’esercito della comunità iguvina, della comunità iguvina, mantieni salvi i guerrieri, le curie, i capifamiglia, il bestiame, i poderi, le messi’.
riconciliazione (sintetica).
offerta.
doppia invocazione attraverso la quale si ribadisce la fiducia nella dea (VIIa 22-23): prestota serfia serfer martier tiom subocauu ‘o Prestota Šerfia di Šerfo Marzio, ti invoco’; prestotar serfiar serfer martier foner frite tiom subocauu ‘Confidando in Prestota Šerfia del propizio Šerfo Marzio, ti invoco’.
La preghiera della porta Trebulana accompagna regolarmente il sacrificio cruento nelle due cerimonie urbiche. È perciò la più frequente. La sua complessità non è paragonabile ad altre preghiere antiche, almeno per quanto riguarda il mondo occidentale.
Si inizia con un’introduzione generale composta da:
invocazione, ha lo scopo di stabilire un canale di comunicazione con la divinità (VIa 22-23): teio subocau suboco dei graboui ocriper fisiu totaper iiouina erer nomneper erar nomneper ‘invoco Te Giove Grabovio con questa preghiera per la rocca Fisia, per la comunità iguvina, per il nome di quella, per il nome di questa’.
Riconciliazione (VIa 23-24): fos sei pacer sei ocre fisiei tote iiouine erer nomne erar nomne ‘sii favorevole, sii propizio alla rocca Fisia, alla comunità iguvina, al nome di quella, al nome di questa’.
seconda invocazione, si intende richiamare l’attenzione della divinità sul fatto che la si invoca secondo la procedura rituale. Questo passo evidenzia come la teologia iguvina che traspare dal testo sia fondata sul ‘patto’ tra uomo e dio (VIa 24): arsie tio subocau suboco dei graboue ‘con questa formula rituale ti rivolgo preghiera, Giove Grabovio’.
terza invocazione, si ribadisce la fiducia nella procedura; questa formula compare solo in questa preghiera (VIa 24-25): arsier frite tio subocau suboco dei graboue ‘proprio confidando nella formula rituale, ti rivolgo preghiera, Giove Grabovio’.
Segue un brano da recitarsi tre volte, una su ogni vittima:
offerta, caratterizzata dall’ellissi del predicato che è lo stesso subocau che regge l’invocazione. Da notare anche l’indicazione pihaclu “a scopo di purificazione’, tipica di questa cerimonia piaculare (VIa 25-26): di grabouie tio esu bue peracrei pihaclu ocreper fisiu totaper iouina irer nomneper erar nomneper ‘o Giove Grabovio, (invoco) te con questo bove maturo, a scopo di purificazione, per la rocca Fisia e per la comunità iguvina; per il nome di quella e per il nome di questa.
La prima richiesta è in questo caso articolata e complessa: è composta di due formule espiatorie, che seguono diverse strategie piaculari.
1) Una formula di annullamento, che potrebbe essere articolata in due parti.
1a) La menzione di due eventi di particolare gravità (VIa 26-27): dei grabouie orer ose persei ocre fisie pir orto est toteme iouine arsmor dersecor subator sent ‘o Giove Grabovio, se nel corso della nota attività sacrificale il fuoco è stato acceso nella rocca Fisia, o se nella città di Gubbio sono state introdotte delle curie inaccettate’.
1b) La formula di annullmento (VIa 27): pusei neip heritu ‘sia come non voluto’: si tratta della stessa formula che si del rito per auspici avversi (IIa 1-14): una sorta di “violenza magica”, attraverso la quale si ritiene annullato l’effetto negativo causato dagli avvenimenti descritti. Si informa il dio, non si chiede ad esso di agire.
2) La richiesta, che a sua volta può essere articolata in tre momenti.
2a) La menzione di vizi rituali che richiedono espiazione e che potrebbero aver gettato la tota- e l’ocar- in uno stato di impurità che può riflettersi in modo negativo sulla vita della comunità (VIa 27-28): dei crabouie persei tuer perscler uaseto est pesetom est peretom est frosetom est daetom est tuer perscler uirseto auirseto uas est. ‘O Giove Grabovio, se nella cerimonia a te sacra qualcosa è andato storto, è andato male, è stato differito, è stato anticipato, è andato perduto, se nella cerimonia a te sacra c’è un difetto che si vede o che non si vede, …’.
2b) Una formula dubitativa (VIa 28-29): di grabouie persei mersei esu bue peracrei pihaclu pihafei ‘o Giove Grabovio, se è poi giusto che si sia purificati con questo bove maturo, come sacrificio espiatorio’: l’uomo, essere limitato, si concede e concede alla propria “ignoranza” un margine di errore nella conoscenza della giusta procedura rituale, e rimette al volere divino l’approvazione della medesima (cfr. Livio I,18,9: Iuppiter pater si est fas hunc Numam … regem Roma esse).
2c) La richiesta alla divinità (VIa 29-30): di grabouie pihatu ocre fisei pihatu tota iouina di grabouie pihatu ocrer fisier totar iouinar nome nerf arsmo ueiro pequo castruo fri pihatu ‘o Giove Grabovio, purifica la rocca Fisia, purifica la città di Gubbio; o Giove Grabovio, purifica il nome della rocca Fisia e quello della città di Gubbio; purifica i guerrieri, le curie, i capifamiglia, il bestiame, i poderi, le messi’. È questo lo scopo della preghiera e del rito nel suo complesso: la purificazione della Rocca Fisia, e ciò è confermato in conclusione di cerimonia eno ocar pihos fust ‘così la rocca sarà purificata’.
riconciliazione: segue la prima richiesta (VIa 30-31): futu fos pacer pase tua ocre fisi tote iiouine erer nomne erar nomne.
seconda richiesta riprende la nota formula lustrale saluo seritu, già vista nella preghiera a Prestota, che sembra condividere l’archetipo con la formula pastores pecuaque salua seruassis di Catone, DeA.C.141. E’ questa formula, che ‘ad futura spectat’, a chiarire il carattere (anche) lustrale della cerimonia. Con la prima richiesta si vuole essere purificati per eventuali errori compiuti in passato, qui al contrario si chiede protezione per il futuro. Inoltre, la prima richiesta è orientata sul versante rituale, la seconda su quello sociale.
riconciliazione: come la precedente
invocazione finale composta da una offerta identica a quella iniziale e da una invocazione (VIa 34): di grabouie tio subocau ‘o Giove Grabovio, invoco te’.
La stessa preghiera è recitata per il secondo e terzo bove, con la citazione del numerale prima della menzione della vittima.
L’invocazione finale al termine della preghiera recitata per la terza vittima è ampliata con una sintetica aggiunta (VIa 54-55): di grabouie tio comohota tribrisine buo peracnio pihaclo ocriper fisiu totaper iiouina erer nomneper erar nomneper di grabouie tiom subocau ‘o Giove Grabovio, te, con una terna di buoi di più di un anno, come sacrificio espiatorio per la rocca Fisia, per la città di Gubbio, per il nome di quella e per il nome di questa, te, o Giove Grabovio, invoco’.
Riepilogando, la struttura della preghiera della porta Trebulana è la seguente:
Introduzione: invocazione – riconciliazione – seconda invocazione – terza invocazione
I parte: offerta – prima richiesta, composta di formula di annullamento (a sua volta composta della menzione di due eventi di particolare gravità e di formula di annullamento) e richiesta (a sua volta composta della menzione di vizi rituali, di formula dubitativa e di richiesta) – riconciliazione – seconda richiesta – riconciliazione – invocazione finale
II parte: come la prima; III parte: come la prima, con un ampliamento dell’invocazione finale.
Dall’analisi effettuata risulta chiaro che è la prima richiesta che dà senso specifico a ogni singola preghiera, la contraddistingue e la differenzia dalle altre: la seconda richiesta è infatti una formula fissa, valida in tutti i contesti (mantenere salve, cioè preservare, le istituzioni beneficiarie del rito), e perciò neutra rispetto allo scopo della cerimonia. Si confrontino i seguenti passi:
di grabouie, saluo seritu ocre fisi, salua seritu tota iiouina ‘o Giove Grabovio, mantieni salva la Rocca Fisia, mantieni salva la comunità iguvina’ (VIa 31);
prestota serfia serfer martier, saluom seritu poplom totar iiouinar, salua seritu totam iiouinam ‘o Prestota Šerfia di Šerfo Marzio, mantieni salvo l’esercito della comunità iguvina, mantieni salva la comunità iguvina’ (VIIa 15-16).

La prima richiesta nelle preghiere della porta Trebulana e della porta Tessenaca
L’oggetto della prima (articolata) richiesta della preghiera della porta Trebulana è con alta probabilità, contro la vulgata (cfr. Devoto 1962:189), la purificazione da eventi negativi intervenuti nel passato e perciò non relativi alla cerimonia in corso. E sicuramente lo è almeno la formula di annullamento. Gli elementi a supporto di questa tesi sono i seguenti. 1) La formula ricalca quella della cerimonia per auspici avversi in IIa 1-14. IIa 3-4 recita: pere … fetu puze neip eretu ‘qualora … si faccia come non voluto’. E’ evidente il parallelismo con VI a 26-28. Ora, il sacrificio descritto in II a 1-14, si svolge sicuramente in riferimento a fatti precedentemente intervenuti, probabilmente l’esito avverso di un auspicium. L’uso della stessa formula non può non far pensare che anche qui ci si riferisca a (possibili) eventi negativi già avvenuti. 2) Le forme verbali (orto est, subator sent), come ben intuisce il Poultney (1959:143), che però non compie l’ultimo passo logico, hanno un senso preteritale che li rende inadatti a riferirsi alla cerimonia in corso. 3) La contraddizione tra la formula di annullamento, qualora riferita alla cerimonia in corso, e la clausola di nullità finale (VIb 47): suepo esome esono anderuacose uasetome fust auif aseriatu uerofe treblano couertu reste esono feitu ‘se qualcosa di questi sacrifici sarà pretermesso o sarà andato storto, allora di nuovo si rilevino gli uccelli e si ritorni alla porta Trebulana rifacendo così la cerimonia da capo’ (anche per questo passo si confronti Catone De A.C. 140: “si …intermiseris …aut feriae publicae aut familiares intercesserint altero piaculo facito). In effetti questa parte del testo, che obbliga a ripetere il rito dall’inizio (augurazione inclusa), evidentemente in altra data, in caso di vizi nella procedura rituale, si riferisce chiaramente alla cerimonia in corso di svolgimento e non è compatibile con la formula “sia come non voluto”. Ambros Pfiffig (1964:105), sulla scia dell’errore del Devoto, ammette l’incongruenza, ma la spiega, poco convincentemente, con una diversa stratificazione cronologica tra preghiera e prescrizioni rituali. Inoltre, l’espressione esome esono della clausola di nullità ha ben altro valore deittico (deissi di I persona = hic) rispetto a orer ose “dove orer (deissi di 3°persona = ille) designa piuttosto un riferimento cognitivo (‘il ben noto’), allontanando la cosa. Lo stesso sostantivo ose < *op(e)si, confrontabile col lat. opus, -eris e col sscr. apas- ‘attività’ e apas- ‘cerimonia religiosa’, pare indicare più un’attività istituzionale, certo in senso religioso, ma generica, che non riferirsi a una cerimonia specifica” (Orioli 1998: 83).
Per quanto riguarda la seconda parte della prima richiesta, in particolare la menzione di vizi rituali, non si può dire con certezza a che momento si riferisca. Prosdocimi (1978: 750) la vede come riferita alla cerimonia in atto: “… la frase finale virseto avirseto vas est, con un presente, riporta il tutto alla cerimonia piaculare in atto (donde tuer perscler risulta genitivo singolare), nell’ideologia della cautela per colpe passate (persei ocre fisie … tote…) ~ presenti (persei touer perscler), note (virseto) ~ ignote (avirseto). In questa prospettiva, i 5 verbi –om est andranno tradotti come presenti resultativi (sviluppo del perfetto) con una morfosintassi di tipo ‘romanzo’” (ibid.). E tuttavia, sembra se non altro poco economico ipotizzare un presente resultativo per una serie di 5 perfetti sulla base dell’unico presente vas est. Per vas est si potrebbe anche pensare all’effetto di eventi negativi passati (secondo la casistica espressa dai 5 perfetti) che perduri nel presente come stato di impurità, fino a purificazione ultimata. Tantopiù che l’espressione tuer perscler ‘della tua cerimonia’ non è dotata di valore deittico spazio-temporale, e sembrerebbe lasciare indeterminata la cerimonia alla quale ci si riferisce (e non sarebbe strano, se ci si riferisse a un lasso di tempo nel quale sono stati celebrati molti riti). Inoltre, e questa questione coinvolge il senso stesso del piaculum, non coincidendo le colpe passate (formula di annullamento) con le presenti (vizi rituali), è credibile che si siano tralasciati nella preghiera i vizi rituali accaduti dall’ultimo piaculum al momento attuale? Si può ben pensare che gli Atiedii non avessero il controllo su tutti i numerosi riti che avvenivano in quella comunità (penso e.g. ai riti privati), e la purificazione avrebbe dovuto riguardare tutti i difetti, visti e non visti (dai sacerdoti della Confraternita?). Una differenziazione colpe passate ~ presenti sarebbe stata convincente qualora le tipologie espresse con valore di preterito e di presente fossero state identiche, o almeno sovrapponibili. Ma non è così. Infine, pur rischiando di sconfinare nella tautologia (ma i risultati di questa ricerca non sarebbero inficiati anche ammettendo che i verbi –om est fossero riferiti al momento attuale), anche lo stesso risultato di questo studio, cioè identificazione di un’offerta, di un dio e di una preghiera che ha lo scopo di favorire la cerimonia in atto (descritta non genericamente, ma nelle tre principali componenti), corrobora ulteriormente l’ipotesi che tutti gli elementi relativi alla prima richiesta della preghiera della porta Trebulana ad praeterita spectent.
Prima di venire alla prima richiesta della preghiera della porta Tessenaca a Fisovio, è necessario tornare alla parte sopra definita “offerta”, nella quale si comunica alla divinità cosa le si offre. È interesssante notare, rispetto alla preghiera della porta Trebulana, l’assenza del termine pihaclu, abl.sg., ‘a scopo di purificazione’:

Preghiera della porta Trebulanapreghiera della porta Tessenaca
di grabouie tio esu bue peracrei pihaclu ocreper …fisouie sansie tiom esa mefa spefa fisouina ocriper …

E dunque si nota già da questo passo una diversa finalità rituale, non avendo la seconda scopo purificatorio.
Ma se lo scopo dell’offerta non è la purificazione, allora qual’è? È solo esaminando la prima richiesta che si riesce a spiegare la funzione di Fisovio e la sua presenza in entrambe le grandi cerimonie della Iguvium dalle tre porte sacre:
Nella preghiera della porta Trebulana, come visto, si chiede di purificare la Rocca Fisia, la Comunità Iguvina e le sue componenti; in quella a Fisovio il testo recita (VIb 10-11): fisouie sansie ditu ocre fisi tote iouine ocrer fisie totar iouinar dupursus peturpursus fato fito perne postne sepse sarsite uouse auie esone ‘o Fisovio Sancio, alla Rocca Fisia, alla città di Gubbio, ai bipedi e ai quadrupedi della Rocca Fisia e della città di Gubbio, concedi la formulazione e la realizzazione nel voto, la rilevazione anteriore e quella posteriore nell’augurazione, l’adeguatezza e l’integrità nel sacrificio’.
Il passo è stato oggetto di controverse interpretazioni: secondo Devoto (1962: 226-228) il verbo ditu regge gli accusativi fato fito, i dativi dupursus peturpursus, i locativi perne postne sepse sarsite uouse auie esone. Gli accusativi fato e fito sono l’uno dalla stessa radice del verbo fari, l’altro da quella del verbo fio e significano rispettivamente ‘id quod dictum est’ e ‘id quod factum est’. La struttura (asimmetrica) che consegue da questa interpretazione del Devoto, è stata sintetizzata da Prosdocimi (1978: 608) come segue:

dirstu

fato fito oggetto

perne postne
sepse sarsite determinazioni circostanziali
uouse auie esone

Merito del Devoto è comunque aver visto nella sequenza le parti costitutive del rito: “rimane comunque certo che uouse è un elemento che completa la somma di auspicio e di sacrificio, per raggiungere la totalità della cerimonia religiosa (persklom)” (Devoto 1967: 300).
Al di là dell’interpretazione dei singoli termini, la tesi del Devoto presenta comunque un’asimmetria non facilmente spiegabile. Prosdocimi (1987: 607-609) ha comparato il passo con la già citata preghiera di Catone, sullo spunto di un’interpretazione di Benveniste:
uti tu morbos
visos invisosque
viduertatem vastitudinemque
calamitates intemperiasque
prohibessis defendas averruncesque
che ha messo in evidenza come la sequenza dei tre verbi finali sia logicamente pertinente a ciascuna delle tre coppie:

Morbos visos invisosque  prohibessis
viduertatem vastitudinemque  defendas
calamitates intemperiasque  averrunces

schema che applicato al passo in questione darebbe :
fato – fito  uouse
perne – postne  auie
sepse – sarsite  esone

Lo stesso Prosdocimi commenta: “delle tre relazioni, la terza, nell’ignoranza del significato, anche approssimato, di sepse sarsite, è neutrale; la seconda ha le carte in regola: la coppia perne postne, quale ne sia il senso preciso, è collegata all’auspicio tramite la qualificazione ‘PERNAIO POSTNAIO’ degli uccelli augurali (Ia 1-2, b 10-11 …). Nella prima, se uouse corrisponde a ‘votum’, o ne è nell’ambito, come indicano etimologia (Devoto) e posizione formulare (appresso), appropriata è la coppia fato – fito; nel primo termine si avrebbe l’espressione tecnica del voto come è formulato: (cfr. il lat. fari, affari), nel secondo la realizzazione dello stesso (cfr. la specializzazione della rad. fu- nel lat. fio). Ci sembrano questi indizi sufficienti per ritenere più probabile – se non sicurissima – questa interpretazione che restituisce, oltre tutto, una più credibile sintassi e un più scorrevole andamento ritmico. Cioè si eliminerebbe la fastidiosa cesura sintattica all’interno dei cola bimembri … in favore di una riunione di questi … col risultato di una sintassi rigorosamente simmetrica rispetto all’andamento semantico:

dirstu

fato fito
perne postne oggetto
sepse sarsite

uouse auie esone determinazioni circostanziali

Dal dettato i tre termini uouse auie esone vanno recepiti come autonomi e, rispetto alla posizione nella prassi rituale, nella stessa successione che ci si presenta” (ibid.: 608).
Dunque è più che probabile, se non certo, al di là delle difficoltà provocate dall’interpretazione di uouse ‘voto’, < *uogh-i-kio- (probabilmente il momento precedente l’augurazione, e quindi esterno al testo iguvino, che parte dall’augurazione), e anche accettando di lasciare non tradotto il binomio sepse sarsite (sul quale si possono avanzare però ipotesi ragionevoli ), che la preghiera e l’offerta che la precede abbiano il chiaro scopo di far riuscire una cerimonia, che non può essere che la stessa nella quale offerta e preghiera sono inseriti, essendo le istituzioni beneficiarie della preghiera quella di ciascun sacrificio (si ricordi il diverso cui prodest dei sacrifici a Fisovio nei due contesti rituali!). Infatti, la preghiera della porta Trebulana, recitata già alcune volte nel corso della cerimonia, ha già svolto, come visto, la funzione di purificare da errori e omissioni avvenuti durante i riti nel periodo intercorso dall’ultima purificazione a quella attuale. Al contrario, nella preghiera della porta Tessenaca a Fisovio, non si chiede di essere purificati per eventi collocati nel passato, ma di avere una buona riuscita della cerimonia vista in modo analitico. Questa preghiera, se riferita alla cerimonia stessa, non è neanche in contraddizione con la già vista clausola di nullità, che impone di rifare la cerimonia in caso di vizi della stessa, in quanto si rivolge al momento attuale, mentre la clausola di nullità svolge una funzione riparatoria (la prima richiede la riuscita della cerimonia, la seconda prescrive ciò che va fatto quando la stessa è andata male).
La formula “bipedi – quadrupedi” ritorna in un inno del Rigveda, VIII 27, 12 e in altri passi; inoltre, nell’Avesta: si tratta quindi di una formula del linguaggio sacrale indeuropeo (cfr. Pisani 1964: 160). Nel caso del testo iguvino i bipedi potrebbero essere coloro che officiano la cerimonia e i quadrupedi gli animali sacrificati.

Fisovio deità meta-rituale
Da quanto fin qui detto risulta chiara non solo l’autonomia di Fisovio, ma anche la sua funzione di ipostasi del patto rituale, di quel patto tra uomo e dio in virtù del quale a un dato comportamento umano (corretto svolgimento del rito) corrisponde un comportamento divino (benevolenza, assenso allo svolgimento delle attività produttive, protezione dalle minacce, ec.). Fisovio è, in altre parole, il dio giovio preposto alla riuscita del rito religioso, il dio del meta-rito, e le offerte e preghiere che riceve sono pure meta-rituali, avendo come scopo la riuscita del rito in via di celebrazione. Come Fiso, dio sanzionatore del patto, è la deità che lega le gentes all’interno della città-stato, così Fisovio è il dio del patto rituale intercorrente tra comunità umana e sfera del sacro, patto che si concretizza nella cerimonia religiosa, e che risponde alle regole di un vero e proprio ius sacrum. Sembra con ciò del tutto naturale che il dio del patto religioso riceva un’offerta nel momento centrale del rito di ciascuna delle due grandi cerimonie urbiche iguvine.
E, in base a quanto detto, sembra inaccettabile la tesi di Prosdocimi (1989: 492-493) che vede Fisu/ovio Sancio connesso con Marte e deputato allo ius fetiale e al foedus.
Intanto, volendo applicare termini appartenenti al diritto romano, come foedus, ius fetiale e iustum bellum, è necessario provare positivamente la presenza di questi termini, o almeno dei concetti che essi esprimono, nell’ideologia iguvina, cosa allo stato delle nostre conoscenze impossibile. Categorie espresse da una determinata cultura non possono essere trasferite tout court in un contesto storico diverso.
Inoltre, il fatto che l’offerta a Fisovio è inserita, nel lustrum, all’interno del sacrificio a Prestota Šerfia di Šerfo Marzio, depone contro l’ipotesi che Fisovio sia il dio dello ius fetiale: infatti, Prestota è la deità alla quale gli Iguvini si rivolgono per inviare la minaccia degl’invasori verso i nemici istituzionali e per allontanarla dalla città. E’ dunque la divinità che svolge la precipua funzione di allontanare la guerra: se Fisovio avesse la funzione che gli attribuisce Prosdocimi, la sua collocazione rituale vicino a Prestota risulterebbe incomprensibile. Ipotizzare un Fisovio “‘marzio’ e ‘lustrale’” (ibid.:493) rimane ipotesi scarsamente economica e andrebbe supportata, in assenza di altro, almeno da fatti testuali.
Lo stesso Prosdocimi (1989:492) segnala le due richieste alla divinità (qui definite “seconda richiesta” che, come visto, sono formule neutre) nella preghiera di VIb 7 ss., ma ignora, forse in quel contesto non mettendo bene a fuoco la struttura della preghiera iguvina, la prima (che, come dimostrato sopra, è invece quella che caratterizza la preghiera e dà senso al rito), definendola “una formula specifica”.
Neanche l’argomento addotto dallo stesso Prosdocimi (ibid.) secondo il quale Fisovio come divinità giovia farebbe da pendant alla presenza di Marte nel piaculum sembra fondato, essendovi già una deità giovia in questa cerimonia: Torsa Giovia, che sbaraglia e mette in fuga il nemico, risalente allo strato più arcaico di questa cerimonia, che ha subito un’evidente ristrutturazione.

La meta-ritualità nel testo iguvino
I teologi atiedii, ispirati da estrema cautela, curavano tutti gli aspetti rituali, tramite raffinatezze che al sentire moderno potrebbero sembrare eccessive: basti ricordare l’augurazione (la verifica dell’agibilità rituale del giorno), la citata clausola finale di nullità, le formule cautelative, quelle atte a placare, ec. La stessa ragion d’essere del piaculum è chiaramente l’attività rituale.
All’interno di questo quadro rituale il meta-rito rappresenta però un salto logico: se il rito ha la funzione di sanare eventi passati o di proteggere la comunità per il futuro, il meta-rito è finalizzato alla riuscita del rito in via di celebrazione. La meta-ritualità è, banalizzando, una sorta di “assicurazione” stipulata con deità create ad hoc, e di ambito giovio, allo scopo di limitare i rischi di una cattiva riuscita del rito.
E la categoria del meta-rito non sembra limitarsi alle funzioni di Fisovio. Un’altra deità in un altro sacrificio riceve le stesse offerte con modalità del tutto simili: Pordoviente, nei sacrifici delle Sestentasie, riceve infatti vestiça- e mefa-, ed è in stretto rapporto rituale con Giovepadre (altrove definito anch’esso ‘Sancio’). Pordoviente e Giovepadre Sancio sono, come Fisovio, estranei al fine della cerimonia, che è a chiaro sfondo ctonio(-agrario) e ha come protagonista una coppia paredrale di deità infere.
In questo caso Pordoviente è l’ipostasi del pordouiom, del ‘porgere’ sacrificale che identifica la parte centrale del sacrificio/esono- (in opposizione all’ampenom, l’immolare, e al subra spahom, il distruggere ritualmente): l’offrire e il consacrare l’offerta. Talvolta il pordouiom indica addirittura la totalità del sacrificio: cfr. II a 43: esunu purtitu futu ‘(allora) il sacrificio sarà compiuto’, IV 31-32: ap itek fakust purtitu futu ‘quando avrà fatto queste cose, (il sacrificio) sarà compiuto’. Si tenga a mente che i sacrifici delle Sestentasie sono con grande probabilità di origine più antica, (ma sicuramente pertengono a un diverso momento storico) delle due cerimonie urbiche, e perciò non stupisce che in questo contesto non si parli di persklo-.
In ogni caso, il sacrificio presenta evidenti punti di contatto con quello offerto a Fisovio dietro la porta Tessenaca:

Pordoviente (IV 14-15): vestiça mefa… skalçeta kunikaz… sevakne sukatu
Fisovio (VIb 5): vestisia et mefa spefa scalsie conegos fetu preghiera

La corrispondenza non può essere casuale: stessa offerta (vestiçia e mefa), stesso recipiente (skalsi-), stessa modalità (in ginocchio). È perciò lecito ipotizzare che Pordoviente sia anch’esso un dio meta-rituale, di probabile creazione sacerdotale (come tutto ciò che riguarda la meta-ritualità) in un momento (più arcaico?) in cui il concetto del porgere rituale comprendeva tutta la cerimonia (purtitu futu). In questa funzione va però associato a Giovepadre che, come detto, in altri contesti assume l’attributo ‘Sancio’ (condiviso da Fisovio!). Esistono evidenti affinità rituali tra Giovepadre Sancio e Pordoviente, prima e quarta delle sei deità dei sacrifici delle Sestentasie: a loro si sacrifica presso l’altare principale e alle altre presso un altarino. Inoltre, entrambi sono la prima di due gruppi di tre deità alle quali si offrono rispettivamente sacrifici cruenti e incruenti; a entrambi si sacrifica dalla parte destra dell’ara; per entrambi i sacrifici è prescritta la dichiarazione che l’offerta sia senza difetti; inoltre le prescrizioni rituali indicano caratteristiche uranie per entrambi: in Giovepadre è il nome stesso indizio di non-ctonicità, inoltre gli si sacrifica sul ferion-, sull’ara mobile, Pordoviente riceve mefa, generalmente destinata a deità uranie.
Questi punti in comune hanno spinto alcuni a giudicare Pordoviente come deità che è in stretti rapporti con Giove: “…the god who assists in the porrectio, may be identical with Jupiter; so much at least seems possible from a comparison with III 22-23” (Poultney 1959: 213). Pfiffig (1964: 54-55) ritiene addirittura che quella di IV 14 sia un’offerta succedanea a Giovepadre-Pordoviente, ‘l’offertore’, che all’inizio del sacrificio al bosco riceve solo un sakri-, un maialino da latte.
In ogni caso queste due deità, che non presentano punti di contatto evidenti con le altre della cerimonia, sembrano essere, anche in questo caso, quelle che garantiscono la riuscita rituale e che, anche in questo caso, fanno capo a Giove, patrono della confraternita Atiedia.
Si potrebbe allargare, en passant (non vi è qui lo spazio per mettere altra carne al fuoco), il panorama ad altre deità che sembrano anch’esse avere a che vedere con la categoria del meta-rito
Una di queste è Vestiço- Sankio-, al quale si offre un maialino all’inizio del rituale riparatorio in IIa 1-14) che, come s’è detto, condivide con Fisovio- Sankio- e la struttura di aggettivo + aggettivo, e la seconda parte del binomio teonimico. Inoltre, il dio è l’ipostasi dell’impasto rituale, la vestiça-, e dunque anch’esso meta-rituale, come tutte le deità del rituale riparatorio. La vestiça- costituisce, tra l’altro, insieme alla mefa-, l’offerta incruenta a Fisovio e Pordoviente.
È la prima di tre deità alle quali si sacrifica rispettivamente un suino e due bovini. Le altre due sono Giovepadre e Spettore. Potrebbero essere pensate come una triade giovia nella quale Giovepadre è al centro, mentre Vestiçio Sancio (l’attributo è garanzia di carattere giovio) e Spettore (dio dell’auspicium, che rientra nella sfera d’azione giovia) stanno ai lati. In questo caso si potrebbe formulare l’ipotesi Spettore = augurazione, Giovepadre = voto; Vestiçio Sancio = sacrificio.
Anche Tefro Giovio, dio-focolare e dio-fuoco, sembra assumere, in parte, i connotati di deità meta-rituale (anche se limitata a un solo aspetto rituale e non al rito nella sua globalità), ricevendo due distinti sacrifici: uno cruento di scrofe da monta (secondo l’interpretazione in Ancillotti-Cerri 1996: passim), uno di persondro, cioè di strutto sacrificale, l’“ingrediente di base” per rendere le parti dedicate alla divinità consumabili sul fuoco sacrificale.
Formalmente, si può far derivare il termine tefro-, da un tema in sibilante *tepes-/tepos- ‘calore (probabilmente del focolare)’, cfr. lat. tepor, sanscrito tapas- ‘calore’, gr.  ‘cenere (ancor calda’; dal quale deriva una forma in -ro- *tepsro- > tefro, che vale come aggettivo ‘da brace’ e come sostantivo ‘braciere, focolare’. Si veda anche l’osco tefúrúm ‘da bruciare’, riferito al sacrificio. Da questo quadro emerge l’immagine di un dio-focolare, che però potrebbe avere una doppia valenza: quella poliade di dio delle gentes, che riceve il sacrificio delle tre scrofe, e una seconda, forse meta-rituale, che viene evidenziata dal sacrificio incruento aggiuntivo di strutto / impasto a base di strutto. E’ notevole che un testo avaro di prescrizioni (dalle tre alle cinque linee per ogni sacrificio cruento) come quello di I a, dedichi ben otto linee al sacrificio aggiuntivo di strutto e impasto a Tefro Giovio. Inoltre, le prescrizioni sono analitiche, al contrario di quanto avviene di norma in questa tavola. Se ne può dedurre che chi ha redatto il testo teneva molto al fatto che questa parte del sacrificio venisse svolta nella maniera più ortodossa possibile. E chi ha redatto il testo doveva far parte della confraternita, doveva essere perciò particolarmente attento a tutte le offerte e preghiere meta-rituali. Lo strutto è normale complemento delle interiora sacrificate, se talvolta è necessario specificare che le stesse devono essere vepesutra (II b 18), cioè ‘senza strutto’ (il termine è costruito sul tema persondro-, con il prefisso privativo ve-). Tefro Giovio potrebbe perciò essere anche la deità preposta alla consumazione delle carni sul fuoco, e l’offerta più ovvia a un tale dio è quella di strutto. A Tefro Giovio è dedicato un sacrificio aggiuntivo vero e proprio, con specifica delle istituzioni beneficiarie, e preghiera autonoma. Tuttavia va detto che la preghiera non si differenzia in sostanza da quella della porta Trebulana e reca perciò la formula “piaculare”. Inoltre, Tefro Giovio non appare altrove nelle tavole. L’offerta aggiuntiva che gli è tributata rimane perciò di difficile valutazione ed è, eventualmente, legata a una diversa meta-ritualità limitata a un aspetto rituale e, per così dire, minore.

Conclusione
All’interno del testo iguvino si possono dunque identificare diversi tipi di meta-ritualità: una prima che ad praeterita spectat, cioè riparatoria, e una seconda che ad praesentia spectat, cioè “del momento attuale”. La prima è meta-ritualità piaculare, largamente diffusa nell’Italia antica, movente di cerimonie che hanno il fine di riparare a eventi negativi. Il secondo tipo dà atto a riti che hanno come scopo la riuscita della cerimonia stessa all’interno della quale sono inseriti. Non è ovviamente causa di cerimonie ad hoc.
A Iguvium il primo tipo si realizza con riti cruenti e cerimonie apposite, il secondo tipo tramite offerte incruente (a Fisovio, Pordoviente) inserite all’interno di riti cruenti. Forse, Vestiçio Sancio è proprio il rappresentante, nel rituale riparatorio, di questa categoria rituale.
La teologia atiedia si mostra in tutta la sua complessità: un rito religioso come quello del grande piaculum è già il frutto di una notevole elaborazione “culturale” in senso astratto, non perseguendo finalità specifiche e vantaggi immediati e superando perciò il rapporto causa-effetto proprio, ad esempio, dei riti magici o della religiosità popolare, antica o moderna. Si presenta, perciò su di un primo livello di astrazione, che potremmo definire della meta-ritualità-1. Su un secondo livello di astrazione si colloca una meta-ritualità che ha lo scopo della riuscita del rito attuale, che a sua volta purifica gli errori rituali e a sua volta rappresenta la meta-ritualità-1: questa seconda meta-ritualità è perciò una meta-meta-ritualità, presentando un salto di livello logico, e può essere definita meta-ritualità-2. E, sia detto a titolo di ipotesi, se si riuscisse a dimostrare che Vestiço Sancio fosse l’ipostasi divina della meta-ritualità-2, sarebbe necessario pensare a una meta-meta-meta-ritualità, a un ulteriore salto di livello, a un meta-meta-meta-rito. Anche se la complessità del problema richiederebbe ulteriori ricerche, sembrano esservi elementi sufficienti per delineare una categoria cognitiva, quella del meta-rito, che dà la misura della raffinatezza teologica espressa dalla Confraternita Atiedia e che non è estranea ad altre culture italiche.